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Immagine del redattoreSergio Ivan Roncoroni

A Palazzo Reale la mostra sull'angoscia di Munch.

Aggiornamento: 18 nov

È vero che Edvard Munch è uno degli artisti più angosciati di sempre: lui stesso affermava che le sue sofferenze, la sua ansia e la sua malattia facevano parte di sé e della sua arte, tanto che la loro distruzione avrebbe distrutto anche la sua arte, ma dalla mostra che Palazzo Reale di Milano gli dedica fino al 26 gennaio 2025 in occasione dell’ottantesimo anniversario della sua scomparsa uscirete probabilmente depressi e con un senso di pessimismo cosmico se già tendete talvolta a farvi prendere dall’ansia e dall’inquietudine. Il titolo scelto, Edvard Munch. Il grido interiore, mette già in guardia sul carattere della mostra, ma soprattutto funge da rimando diretto all’opera più celebre, più significativa e più reinterpretata dell’artista norvegese, L’Urlo, che in mostra vedrete solo in forma di litografia.

Dunque se pensate di visitare l’esposizione milanese per vedere da vicino quella figura umana con il volto dalle fattezze di teschio, vestita di nero, che si porta le mani alle orecchie mentre spalanca gli occhi e la bocca per far uscire un sonoro grido di disperazione, un grido che apparentemente è di un solo individuo ma che può rappresentare il grido di tutti perché universali sono le sensazioni di solitudine, di angoscia e i tormenti della morte, e quel cielo infuocato e sinuoso che segue le linee del paesaggio, deformate come quelle della stessa figura umana, no, sappiate che non lo vedrete: né il dipinto a tempera né il pastello de L’Urlo della collezione del Munchmuseet di Oslo, il museo da cui provengono tutte le opere in mostra, sono arrivati a Milano per l’occasione; vi è solo una litografia in bianco e nero del 1895.

storia e il furto, e infine due xilografie di Angoscia, in cui una folla di persone dai volti alienati e con gli occhi spalancati cammina verso l’osservatore, esprimendo la solitudine umana presente anche se si è in mezzo a una folla.

La lunga e a tratti ripetitiva immersione nell’angoscia, nelle inquietudini, nelle ossessioni e negli incontri con la morte di Munch prende il via nella prima sezione con Malinconia, in cui è raffigurata una donna sola, seduta in un ambiente domestico, la cui espressione rimanda al titolo del quadro, e con il ritratto di Laura Munch, la quarta dei cinque fratelli dell’artista che cominciò a soffrire di disturbi psicologici fin dall’adolescenza contro cui si trovò a combattere per tutta la vita. Il dipinto costituisce tuttavia un esempio della commistione tra elementi che appartengono alla sua formazione accademica ed elementi che suggeriscono un approccio più libero alla pittura, come il ritratto della zia Karen sulla sedia a dondolo: la sorella della madre di Munch, che si trasferì a casa Munch quando Edvard perse la sua mamma all’età di appena cinque anni per tubercolosi e che coltivò e sostenne il suo talento artistico in quanto anche lei artista dilettante, è qui raffigurata in controluce e con pennellate morbide che Munch aveva cominciato a sperimentare sotto la guida di Christian Krohg. Ma soprattutto sono opere in cui si percepisce un approccio emotivo nel raffigurare i soggetti influenzato da una visione interiore e dai ricordi. Sono frutto di ricordi anche le vedute qui mostrate di viale Karl Johan, la strada principale di Kristiania poco distante da dove abitava da bimbo il piccolo Edvard. La prima sezione si chiude con le già citate raffigurazioni del circolo bohémien di Kristiania e con il ritratto di Stanisław Przybyszewski.

La malattia e la morte, esperienze tragiche che segnarono la famiglia e la vita di Munch, sono protagoniste della seconda sezione: l’artista elimina i dettagli superflui e riesce a cogliere l’essenza stessa del dolore e della morte. Nelle opere qui esposte si vedono figure in preda alla disperazione o figure spettrali immerse in atmosfere cupe che mettono di fronte all’osservatore la precarietà della condizione umana e lo fanno immedesimare nel dolore che si prova a vegliare una persona malata, specie se si tratta di una bambina, o nella sensazione di perdita provata di fronte alla morte di una persona. Sono opere che raccontano l’agonia della perdita, in cui il lutto diviene tangibile in una potente immagine pittorica ambientata in una stanza di casa. Ne sono esempi La bambina malata, La morte nella stanza della malata, Lotta contro la morte. Da Chiaro di luna. Notte a Saint-Cloud traspare invece nettamente un forte senso di isolamento. Inquietante il dipinto Visione: una testa senza corpo con gli occhi chiusi spunta dalla superficie dell’acqua, mentre un cigno e altre forme non distinte fluttuano sopra la testa, e ancora non meno inquietante la Bambina in procinto di affogare. A spiccare in questa sezione è tuttavia Disperazione, dove una figura umana vestita di nero è immersa nello stesso paesaggio del famoso Urlo. Segue infatti la litografia di quest’ultimo, accompagnata da un video che ne narra la storia e il furto, e infine due xilografie di Angoscia, in cui una folla di persone dai volti alienati e con gli occhi spalancati cammina verso l’osservatore, esprimendo la solitudine umana presente anche se si è in mezzo a una folla.

La morte continua a essere presente anche nella terza sezione: in un caso è al timone di una barca a vela in mezzo al mare, in un altro caso, sotto forma di teschio, dà un bacio ad una ragazza. Ma anche il bacio d’amore, come pure la sensualità (esposte due litografie della sua sensualissima Madonna), viene visto da Munch nel suo duplice aspetto: come fonte di appagamento, esplicitato in dipinti come Il bacio o Bacio vicino alla finestra, in Coppie che si baciano nel parco o in Attrazione, ma anche nel suo lato oscuro, nella sua forza distruttrice, come in Vampiro.

L’artista prova empatia nei confronti di tutte le persone che vengono irretite dalla seduzione e rovinate dalla dissoluzione dell’amore. Particolarmente rilevante è il rapporto con Tulla Larsen, l’unica donna che Edvard Munch abbia preso in considerazione di sposare: la loro relazione iniziò con entusiasmo ma poi si deteriorò poiché lui, convinto di incubare malattie ereditarie e bisognoso di dedicarsi alla sua arte, resisteva sempre di più al desiderio di intimità di Tulla, fino ad arrivare a un traumatico litigio in cui un colpo di pistola mutilò un dito dell’artista. Il loro rapporto ispirò opere che esplorano la relazione conflittuale tra uomo e donna, dove la figura femminile è presentata come seduttrice e l’artista stesso come vittima sacrificale: ne è un chiaro esempio La morte di Marat qui esposta, dove, in una stanza, un uomo nudo giace sul letto con un braccio che pende dal materasso e la mano e il polso appaiono macchiati di color ruggine; la donna è invece in piedi, nuda e immobile come una statua. La scena potrebbe rappresentare una scena erotica, ma in realtà il titolo fa capire che l’uomo è stato assassinato, di fronte alla freddezza della donna. Emblematico è inoltre il dipinto diviso in due con l’autoritratto e il ritratto di Tulla su sfondo verde, a significare la fine della loro relazione.


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